“L’EDUCAZIONE E’ COSA DEL CUORE”
Educatori si raccontano… il messaggio di San Giovanni Bosco attraversa la storia e raggiunge i giovani di “ogni tempo”
“Padre e Maestro della gioventù”, Don Bosco continua ad operare attraverso quanti, in luoghi diversi e con strumenti vari, si fanno promotori di un’opera che, veicolata da didattica, sport, catechesi, arte, ecc., si propone di attuare il suo messaggio innovativo che, attraversando la storia, conserva freschezza di linguaggio, concretezza e carità. L’educazione esorta a compiere un viaggio “dentro” di sé per condurre gli altri “fuori” da se stessi e si realizza anteponendo ad ogni teoria il CUORE. Desideriamo offrire ai nostri lettori alcune riflessioni, espresse con intensità ed in modo personale, dalle quali emerge la bellezza della “missione educativa”, promossa da quanti, attraverso autentiche esperienze di relazione e crescita, attingendo al proprio vissuto, ai ricordi ed alla figura di San Giovanni Bosco, si raccontano con generosa spontaneità e donano, tra le righe, spunti per riflettere ed interrogarsi. Giunga, a tutti e ciascuno di loro, la nostra gratitudine per aver gioiosamente accolto l’iniziativa consegnandoci, con parole e pensieri differenti, un variopinto mosaico dal quale, con colori e sfumature varie, li troviamo accomunati da medesimi sentimenti ed obiettivi che rendono vivo il messaggio di Don Bosco. Auguriamo loro di proseguire il percorso intrapreso con il sorriso, con fede ed impegno, perché possano essere di esempio a quanti li collaborano ed a quei giovani che, un domani, saranno chiamati, con lo stesso entusiasmo, ad “educare col cuore”!
SAMUELE AMENDOLA (Educatore professionale socio – pedagogico) Figura dalla semplicità ed al tempo stesso dalla forza dirompente, quella di San Giovanni Bosco, il santo dei giovani, sacerdote, catechista ed educatore, sempre attento alle esigenze dei ragazzi, delle loro famiglie e delle realtà nelle quali vivevano. Un esempio che invita, ancora oggi, a ripensare l’educazione dei giovani come processo globale di aiuto alla vita da realizzarsi attraverso un “vivere accanto”, un accompagnare quotidianamente e pazientemente, essendo, al tempo stesso, stimolo nel percorso di scoperta e formazione delle identità ed invito al protagonismo di ciascuno, in risposta ad una chiamata per un impegno attivo nella vita concreta. In questo percorso, Don Bosco è esempio di guida autorevole che agisce con “amorevolezza” per tras-formare i contesti di vita reale dei giovani, facendo germogliare le coscienze, sviluppando quell’intelligenza del “fare” che consente di imparare ad “essere”. – Vi amo perché siete giovani – diceva – E non perché siete bravi, intelligenti, educati, credenti… -, non perché avete ottimi voti a scuola, perché rientrate nei canoni di una presunta idea di “normalità”, perché non date fastidio, perché siete i figli perfetti, gli studenti precisi e puntuali. Per questo, li cercava nelle carceri, per la strada, nelle periferie e nei luoghi più poveri … cercava proprio i ragazzi più “difficili”, quelli scartati e ritenuti ai margini. Oggi, alle realtà di emarginazione e povertà materiale, si aggiungono quelle che Papa Francesco definisce le nuove “periferie esistenziali”, spesso frutto di povertà educative, di indigenza di affetti e analfabetismo delle relazioni, in cui i giovani, pur avendo molto ed essendo circondati da tante persone, si ritrovano profondamente soli, inascoltati, invisibili. La pandemia che stiamo vivendo, in questo senso, ci ha posto davanti tutti i limiti di modelli dis-educativi e de-umanizzanti spesso perpetrati anche all’interno di quei contesti di vita che per loro natura dovrebbero essere luoghi di promozione di esperienze di relazione e di crescita. Luoghi dove sperimentare ciò che dà un senso pieno al proprio “esserci” ed “essere con” gli altri, dove riscoprire il “desiderio”(de-sidus: mancanza/bisogno di stelle) che spinge ad alzare lo sguardo verso l’alto. Mentre nell’Italia del XIX secolo è in auge il metodo repressivo, Don Bosco “inventa” e sperimenta un metodo educativo che chiama “Sistema Preventivo”, che si realizza mediante la presenza educativa assidua, attraverso il vivere uno spirito di comunità, che consente di instaurare relazioni semplici e positive, basate sulla fiducia, sull’impegno e sulla gioia quotidiani. Si, la gioia, perché – Il demonio ha paura della gente allegra – diceva. Una pedagogia che sviluppa tutta la persona: corpo, cuore, mente e spirito e mette il ragazzo al centro di tutta l’opera educativa favorendo la crescita e la libertà. Libertà intesa non come assenza di regole ma d’espressione dentro le regole, attraverso la creazione di un ambiente che consenta di sperimentare nuove azioni e situazioni e dove poter realizzare i personali progetti di senso. Per l’educatore, oggi più che mai, è difficile riuscire a stare dentro relazione con i ragazzi, è una fatica… E’ più semplice porsi su un piano di superiorità, pontificare dalla cattedra, dare consigli, dire cosa si deve o non deve fare, ma evitando bene di sporcarsi le mani. Ecco, Don Bosco aveva capito bene che per educare si deve faticare, impolverarsi insieme ai ragazzi, fare piuttosto che dire. Per far ciò occorre andare prima di tutto là dove i ragazzi vivono, dove trascorrono il loro tempo, il che significa riuscire a raggiungerli ed ascoltarli davvero attraverso molteplici canali, anche quelli virtuali, che sono ormai divenuti i vicoli e le strade dei quartieri e delle periferie dell’era postmoderna; contestualmente, è necessario realizzare un patto di corresponsabilità educativa che coinvolga le nuove generazioni ed impegni le famiglie, le scuole, le istituzioni e la comunità intera. L’educazione è cosa del cuore: è il motto sempre attuale di Don Bosco che si concretizza nella presenza e nelle innumerevoli esperienze di persone, che in modi, luoghi e tempi diversi hanno creduto, e continuano a credere, nel valore fortemente umanizzante dell’educazione che unisce insieme amore e responsabilità.
MARIA CURRO’ MOSCARELLA (Già Catechista ed Insegnante) La festività di San Giovanni Bosco riporta alla mia memoria piacevoli vecchi ricordi della felice attesa per la commemorazione annuale che, in stretta collaborazione tra scuola, parrocchia e famiglie, veniva regolarmente celebrata il 31 Gennaio. Ricordo la gioia con cui gli scolari attendevano l’arrivo in classe del nostro amatissimo Don Gennaro che, munito di sacchetti di caramelle e cioccolatini, si divertiva lanciandoglieli, accompagnando il gioco lui stesso con piroette e tiro in aria del proprio basco che raccoglieva al volo fra l’ilarità ed il divertimento generale. Mi sembra di risentire ancora nei corridoi e nel breve tragitto che dalla scuola porta alla parrocchia, il soave canto “OH! DON BOSCO PADRE BUONO DEI FANCIULLI IL PROTETTORE”. La sua priorità era educare i giovani all’amore ed al rispetto, coadiuvato e collaborato dalla sua prima grande sostenitrice che fu mamma Margherita, che non negava mai un tetto ed un boccone ai ragazzi abbandonati ed affamati che suo figlio giornalmente ospitava a casa sua, confidando sempre nella Divina Provvidenza. Oggi, ad oltre un secolo dalla morte del Santo, il suo ideale di vita, EDUCARE I GIOVANI ALL’AMORE, ALLA CONDIVISIONE, ALLA BONTÀ E ALLA GIOIA non è tramontato, perché nonostante la situazione socio-economica molto diversa dai suoi tempi, rispecchia una certa modernità ed attualità; gli ideali e la sete di Dio rimangono uguali e tra la piaga dilagante del bullismo, della pornografia, del razzismo, della supremazia maschilista, bisogna riconoscere che c’è una larga fascia di gioventù (le cosiddette da Papa Giovanni Paolo II “SENTINELLE DELL’AURORA”) che si impegnano nel volontariato e nella catechesi parrocchiale, andando controcorrente e seguendo le orme di Gesù.
GIUSEPPE CIRINO (Presidente ed allenatore “Ludica Lipari) Con grande gioia ho accolto l’invito a scrivere una riflessione su ciò che lega il mondo dello sport con la figura di Don Bosco, ritenendo che egli sia stato tra i primi a comprendere il valore educativo e stimolante che l’attività fisica ed il gioco esercita sui ragazzi e come tale valore potesse essere il propulsore che spinge ad una vita vissuta nella pienezza e nella gioia. Tra i grandi “allenatori” che ho conosciuto nella mia vita sportiva, sia come atleta che come presidente di un’associazione, Don Bosco rappresenta, fuori da ogni dubbio, l’archetipo che ognuno di noi dovrebbe seguire. Lo sport (nel mio caso il calcio) non è solo una palestra per il corpo ma soprattutto rappresenta una palestra di vita, dove la quotidianità trova pieno campo di applicazione. L’allenamento non aiuta solo il nostro corpo a rispondere alle sfide fisiche ma aiuta soprattutto il nostro cuore, la nostra anima e la nostra mente a sviluppare quei valori che San Giovanni Bosco predicava ai suoi ragazzi, come l’amicizia, il rispetto e l’amore verso il prossimo e verso Dio. La vita sportiva è fatta di tanti sacrifici, sofferenza e lacrime, ma anche di tante gioie, sorrisi e momenti belli dove, in un’altalena di vittorie e sconfitte, lo spirito dei nostri giovani si tempra, sperimentando che sulle vittorie non bisogna cullarsi troppo e che dalla sconfitta e dalla caduta si deve sempre trovare la forza per rialzarsi, con la consapevolezza di chi impara la dura lezione. Don Bosco, in un’Italia povera e carica di sofferenza comprese, a mio avviso, che la gioia del “gioco” poteva rendere il cuore di quei ragazzi il terreno buono, dove il seme cadendo germoglia e porta un frutto che rimane e la più grande testimonianza di ciò la troviamo nella vita dei suoi figli spirituali, per citarne uno tra tanti “San Domenico Savio”.
PATRIZIO RIGHERO (Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali Diocesi di Pinerolo) Sono cresciuto alla scuola e nelle scuole di don Bosco: medie all’Istituto di Cumiana, ginnasio a Valdocco, liceo a Valsalice e licenza in teologia pastorale all’Università Pontificia Salesiana di Torino. Ho conosciuto questo santo prete attraverso i suoi testi, le biografie, ma soprattutto grazie ai tanti salesiani che ne hanno interpretato il carisma. Da ragazzino lo vedevo come una sorta di super eroe, in equilibrio funambolico sulla corda, i suoi coetanei e compagni di giochi con il naso all’insù e lui a cogliere l’occasione di quell’istante di meraviglia per offrire un assaggio di “timor di Dio”. Poi a Casa Pinardi e Valdocco, circondato da stormi di giovani festanti. Lo vedevo sempre vincente. È stata la licenza in teologia a rivelarmi, grazie alle lezioni di Aldo Giraudo, il Don Bosco fragile e sconfitto. Dai documenti dell’epoca emergono i suoi tanti fallimenti, i no incassati, l’ostilità di tanti (anche del clero torinese), le amarezze sofferte e offerte. Quell’approccio ha riorientato l’immagine che avevo del santo: non un divo acclamato dalle folle, ma un uomo in ascolto di Dio, in lotta con i suoi limiti, impegnato a fare i conti con i propri fallimenti, eppure mai rassegnato. Credo che stia lì il segreto del suo metodo educativo da riscoprire anche nel nostro oggi: un continuo rialzarsi, consapevole della propria piccolezza e inadeguatezza. E poi l’allegria – mai forzata o ostentata, che diventerebbe alienazione – da coltivare con dedizione e custodire come un bene prezioso. E ancora il sistema preventivo che, scriveva Don Bosco, «poggia tutto sopra la ragione, la religione, e l’amorevolezza». Non una bolla di vetro per isolare dal mondo, ma una cura della mente e dell’anima per alimentare il bene che già c’è in ciascuno e soprattutto nei giovani, curando la relazione tra educatore ed educando. Questo è il mio Don Bosco.
ASSUNTINA RUSSO (Istruttrice di tennis presso “Snoopy Club Lipari”) Da parecchio tempo insegno tennis presso lo “Snoopy Club Lipari” ai bambini ed ai giovani che desiderano avvicinarsi a questo sport. Il tennis è uno sport individuale ed è molto impegnativo dal punto di vista mentale, perché si è da soli o al massimo in due, contro un ipotetico avversario o due. Rispetto alle discipline di squadra, in cui non si è soli a risolvere le problematiche di una partita, è uno sport che aiuta tanto a lavorare su se stessi e, soprattutto, ad assorbire le delusioni che derivano dalla sconfitta, che è personale e non ripartita, quindi insegna la responsabilità delle scelte che facciamo nel gioco, aiutando a crescere. Cerco di trasmettere la passione per lo sport in generale, il rispetto per l’avversario, per i propri compagni di gioco, per le regole e la disciplina, senza trascurare l’aspetto ludico. Lo sport deve essere felicità, a maggior ragione in questo pesante periodo storico, che ci vede tutti fin troppo provati da divieti, psicosi e preoccupazioni reali a causa della pandemia da Covid 19. Il pensiero di Don Bosco esorta a saper trovare la felicità e motivi di speranza nelle piccole cose a anche nelle avversità, una di queste potrebbe essere lo sport: avere la possibilità di muoversi, incontrare gli amici e giocare allegramente con loro è un dono enorme. Don Bosco e i salesiani credono nel valore “umanizzante”, “preventivo” e nella “dimensione ludica” dello sport, tutti principi che cerco di mettere in pratica con i miei ragazzi, impegnandomi a spronarli ad aiutare chi è più in difficoltà di loro nel recepire i movimenti e le tecniche di gioco e favorendo la loro socializzazione con giochi propedeutici al tennis, come piccoli tornei tra loro. E’ importante far conoscere loro le regole invogliandoli a rispettarle, per prevenire il più possibile, attraverso lo sport, esperienze negative. Insomma, tento di farli entrare nel mio cuore trasmettendo la passione per il tennis che mi accompagna da quando ero poco più che una bambina. Purtroppo, a causa di tutti gli accorgimenti da adottare per la pandemia e il distanziamento sociale, non è semplice normalmente svolgere la scuola tennis, costretta a fare lezione con la mascherina e a mantenere il più che posso il distanziamento sociale tra i ragazzi, quando un’ordinanza o un decreto addirittura non ne proibiscono lo svolgimento, ma provo comunque a farli giocare spensieratamente, nel rispetto delle regole e senza perdermi d’animo: non c’è niente di più bello nel vedere felici bambini e giovani che giocano e si divertono in maniera sana ed ogni volta che riesco a far nascere un sorriso sul loro volto mi sento appagata! La mia più grande speranza è che s’innamorino del tennis come è successo a me e possano tenacemente portare avanti questa bella passione nelle loro vite che, senza dubbio, li aiuterà ad essere degli adulti migliori.
NINO ALESSANDRO (Volontario servizi ai diversamente abili e Direttore Artistico del gruppo folclorico “Cantori Popolari delle Isole Eolie”) “Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore che Dio solo ne è il padrone e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte e non ce ne mette in mano le chiavi”. “Studiamoci di farci amare e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori”. Riflettendo su queste parole, si può senz’altro dire che Don Bosco è stato un volontario d’eccellenza, infatti nella mia esperienza sia con i ragazzi diversamente abili e con i componenti del gruppo folclorico, la cosa fondamentale è “lavorare con il cuore”, è questo che ci permette di entrare in sintonia con i “piccoli” e, come per incanto, il loro cuore grandissimo si spalanca davanti a noi, senza che ce ne accorgiamo. Lo stesso avviene nella comunicazione per il folclore perché solo agendo con il cuore, dove è ben conservata la passione e l’amore per le nostre tradizioni, si riesce a trasmettere tutto l’impegno d’amore gratuito che doniamo agli altri. Il nostro stare con i “ragazzi speciali“ ci insegna questo: la semplicità e la massima fiducia in Lui che ci conduce per mano, tutti i gesti non fanno altro che esprimere questo: gli abbracci, le carezze, i sorrisi, insomma, l’affettuosità che necessariamente deve concretizzarsi per assicurarsi di sentirsi “amati. E quando tutto questo viene a mancare, come oggi a causa del coronavirus? Le difficoltà sono davvero tante, perché viene colpito lo stare insieme. Può esserci un’altra opportunità? Bisogna trovarla, il cuore lavora sempre ed allora… niente è perduto se ci crediamo veramente! Anche lontani si può restare in sintonia, c’è come un “filo” che lega i cuori di tutti noi e questo nessuno potrà spezzarlo, tanto meno un virus. Certo, più tempo passa, più si sente la “mancanza” del vederci, del contatto, ma quando siamo “educati” all’amore è tutto un’altra cosa. “Va dove ti porta il cuore“. Ed in effetti il cuore mi ha portato a Canneto a farmi conoscere i miei “Cantori Popolari”, quarantaquattro anni insieme per un’attività che non si è mai fermata e solo il Coronavirus ha decisamente sospeso. Il gruppo ha portato nel mondo la cultura di un luogo remoto al tempo stesso rinomato; col passare degli anni ha rinsaldato e maturato il suo senso di appartenenza al punto di ritenere indispensabile il coinvolgimento di più gente possibile nel percorso di ricerca e conservazione per evitare che una memoria, già altrove conosciuta e apprezzata, andasse negligentemente perduta. Agli spettacoli “classici” si sono uniti veri e propri spettacoli teatrali allestiti per le vie dell’isola, realizzati con la partecipazione degli isolani che diventano così protagonisti degli eventi culturali. La partecipazione sempre crescente della popolazione ha dato ai cantori il segno dell’approvazione sociale per un percorso che nel tempo è diventato il contenitore della memoria storica che nessuno vuole perdere. Un’attività del genere trasforma i componenti del gruppo quali volontari al sevizio della comunità, ruolo raramente attributo a una compagnia di folclore, in quanto esprime i valori della partecipazione e della solidarietà, che hanno sempre unito nel corso dei secoli gli abitanti delle isole. L’educazione, l’insegnamento, la comunicazione è cosa del cuore. In questo momento siamo costretti a stare tutti “fermi”, cosa veramente impensabile per i nostri “ragazzi” e per il gruppo, stiamo vivendo un periodo di deserto, ma questo non ci deve scoraggiare e fare paura. Sappiamo che quando c’è di mezzo il cuore niente può fermarci perché è da qui che comincia qualcosa di vero e di bello che non può finire. “L’amore è per sempre”, lo possiamo “gridare” anche adesso a tutti… VIVI LA VITA E DONA AMORE!
GIANLUCA VENEROSO (Insegnante ed attore della Compagnia Teatrale “Piccolo Borgo Antico”) Ebbene sì! Fare scuola incrocia le rotte del sentire, credere, condividere… Certo… si deraglia tra le ortiche degli anni difficili, ma anche le monellerie e le incomprensioni, tra i banchi, sanno di catarsi ed elevazione e servono a rendere i viaggi successivi scevri da sviste o sprovveduti inadempimenti. Sull’isola, poi, dove 13 anni scolastici incontrano gli zefiri dell’isolamento, degli accorpamenti all’ultima ora, dei calendari sottomessi a Eolo e Poseidone, ESSERE IN CLASSE non basta! Lì, dove mito, natura ed evidenze costituiscono un LIBRO INESTIMABILE. Lì dove le distanze penalizzano. Lì… dove languono le offerte formative, ma non mancano menti e braccia… ho interagito con chiesa, compagnia teatrale, gattile… assetato di portare il fuori in cattedra e gli zaini tra pulere, erba, mare, palco. La stessa festa di San Giovanni Bosco mi ha spinto – e torna la metafora del cammino – a correre coi nostri CUCCIOLI D’UOMO verso la laboratorialità scenica, tanto carezzevole per i NOMENCLATI DSA, nient’altro che interpreti speciali di linguaggi alternativi e codici unici che spesso noi GRANDI siamo impreparati a vedere.
MARIA FRANCESCA FICARRA (Studentessa dal 2011 al 2020 presso l’Istituto Don Bosco Messina) Don Bosco è indubbiamente uno dei santi più amati dai giovani, nonché uno dei massimi innovatori del concetto di educazione, che rese la sua missione. Egli comprese che il ruolo dell’educatore non doveva limitarsi ad impartire nozioni: doveva essere qualcosa di più. Doveva divenire insomma padre e amico, oltre che maestro perché, come soleva affermare “l’educazione è una cosa di cuore”. Una delle massime più famose e affascinanti di Don Bosco, fonte di numerose e profonde riflessioni, riguarda la sua idea di santità e gli strumenti che consentono di raggiungerla: studio, allegria e pietà. Tale motto mi ha sempre colpita perché avvicina in maniera inaudita un concetto che spesso appare astratto e distante dall’esperienza quotidiana come la santità: essa non è qualcosa di inarrivabile ma è formata da piccole e semplici azioni da compiere ogni giorno e, soprattutto, i giovani possono raggiungerla. Don Bosco si è sempre impegnato affinché i suoi ragazzi crescessero santi (e molti lo sono stati) usando metodi innovativi come il gioco che, da semplice attività di diletto e svago, diventa uno strumento efficace per accompagnare i ragazzi nella loro crescita e ancora oggi costituisce una delle fondamenta del metodo salesiano (basti pensare all’oratorio). Don Bosco ha dato tutto per i suoi ragazzi e il suo amore per loro, nonché il desiderio di vederli felici che l’hanno guidato per tutta la vita: le sue opere vivono ancora oggi grazie a quanti, da lui ispirati, ne hanno proseguito la missione, nonostante il periodo di grandi avversità, animati dalla sua stessa resilienza.
FRANCESCO MEGNA (Istruttore minibasket ed allenatore settori giovanili “ASD Basket Eolie”) Ho il grande privilegio, ormai da più di venti anni, di poter dedicare una parte importante del mio tempo libero all’educazione sportiva di giovani ragazze e ragazzi. La pratica sportiva, soprattutto in ambito giovanile, svolge un’importantissima funzione educativa. In questa fase, lo sport è innanzitutto “gioco”, prezioso strumento di inclusione e partecipazione. Gioco che libera la gioia, espressione di libertà e spontaneità, è manifestazione di un equilibrio spirituale e mezzo per rafforzarlo. San Giovanni Bosco improntò la sua vita pastorale al coinvolgimento attivo dei giovani anche nei momenti ludici e sportivi, ben comprendendo la forza comunicativa ed inclusiva del “gioco”, intuizione che lo spinse a cercare ed incontrare i ragazzi nel gioco, partecipandovi egli stesso. Lo sport insegna! Questa è una verità che chiunque abbia praticato almeno una disciplina sportiva è portato a confermare. Educazione e sport formano un connubio inscindibile, in quanto portatori autentici di principi e valori indispensabili per la crescita personale e collettiva. Lo sport, infatti, migliora la conoscenza di noi stessi, aiuta a superare limiti legati non solo all’ambiente sportivo ma anche alla sfera interpersonale. Ed è proprio il modo in cui lo sport ci sprona a superare questi limiti che insegna e plasma il carattere. Ogni sportivo si è confrontato con la sconfitta, con l’idea di non essere il migliore. Questo è uno dei primi, fondamentali insegnamenti dello sport e porta con sé l’umiltà e la determinazione a dare il massimo. Oltre ad accettare la sconfitta, lo sport aiuta a comprendere il duro lavoro, la costanza e la passione. Attraverso l’impegno è possibile raggiungere e superare traguardi importanti e questo trasforma una semplice attività sportiva in una vera e propria fonte d’ispirazione. Allo stesso tempo, ogni disciplina ha le sue regole e saper giocare all’interno di queste aiuta a crescere con giudizio. La consapevolezza che lo sport è “un gioco” e che allo stesso tempo “non è solo un gioco”, aiuta a riscoprire i valori della condivisione e della socialità. Dal momento che si tratta di competizione, vengono esaltati anche valori quali il rispetto delle regole, dell’etica della disciplina, il sacrificio e la dedizione. Una compagine di valori che mettono in risalto non solo la grandezza dell’atleta, ma anche e soprattutto quella dell’uomo. Ogni sport regala insegnamenti importanti e l’aspetto ludico aiuta ad assimilarli in maniera naturale. Mettersi in gioco vuol dire vivere un’esperienza stimolante. Sconfitta o vittoria sono maestre in egual misura, poiché è lo sport in sé ad insegnare. Oggi purtroppo tutte le attività sportive giovanili ed amatoriali sono state fermate dalla pandemia, sacrificate inevitabilmente sull’altare della salute pubblica. Il Virus ha messo i giovani “in panchina” ed il prezzo che stiamo pagando è davvero altissimo. Lo sport però ha in sé gli anticorpi per superare questa ed altre emergenze. Come ci ricorda Papa Francesco rivolgendosi ai giovani sportivi, in questo tempo di pandemia: “Lo sport è una grande scuola a condizione che lo si viva nel controllo di sé e nel rispetto dell’altro, in un impegno per migliorarsi che insegni la dedizione e la costanza, e in un agonismo che non faccia perdere il sorriso e alleni anche ad accettare le sconfitte. In questo periodo tante manifestazioni sono sospese, ma è proprio nei momenti difficili che vengono fuori i frutti migliori dello sport: la resistenza, lo spirito di squadra, la fratellanza, il dare il meglio di sé”. Lo sport abbatte barriere mentali, culturali e generazionali. Avvicina le persone, i paesi, i popoli e rende liberi. Lo sport ha l’incredibile potere di creare speranza dove c’è disperazione! Facciamo nostra l’esortazione del Santo Padre, cercando di trasformare le difficoltà di questi giorni in un motivo per comunicare a tutti che la vita è bella, che è un dono di Dio, amante della vita, e quindi va vissuta con gioia e senza mai perdere la speranza, anche nei momenti più duri e grigi, come quello che stiamo vivendo.