Riflessioni

La CROCE che divide ed unisce.

Stiamo attraversando momenti difficili, incerti e quasi bui, o all’ombra di una luce che si intravede da lontano. Momenti in cui la nostra “libertà del quotidiano” è fortemente limitata da regole imposte e non scelte ed anche la nostra piccolissima comunità ha vissuto, vive e vivrà tutto questo, coronata da fatti ancora più gravi o da gioie inaspettate. Si, perché anche nella nostra “piccolissima comunità” si ripercorre quel concetto cristiano di peccato, redenzione e salvezza. Un passato in cui prima della venuta di Cristo l’umanità viveva nel peccato, la redenzione portata dallo stesso Messia, la salvezza, un concetto che sarà direttamente collegato alla risurrezione.

La Passione

Così l’Uomo, Gesù, nato da Maria, la “Tota Pulcra”, che chiama al pentimento ed alla redenzione, alla conversione dal peccato, che riporta al “bello”, distaccandolo dal male, quel male che Socrate riteneva potesse essere fatto solo da chi sa. E forse per questo Gesù perdona i suoi crocifissori: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc, 23,34). Quel male, la cui metafora assunta si configura col Diavolo. Non a caso infatti, il significato letterario di “diavolo” (in greco diabolos) è “distante dal bello, dia-bello”, quello che in latino (diabolus) viene definito negli scritti cristiani indicato come “Satanas”, inteso come “avversario, nemico di Dio”.

Sangue Reale

Dunque dia-metro, dia-gonale, dia-logo, tutti termini che indicano in una distanza una parte centrale, un luogo, uno spazio nel quale e dentro il quale oscillano i sentimenti di ognuno di noi. Sentimenti che possono essere rivolti al bello così come distanti. Sentimenti in cui ci può essere felicità o infelicità, sicurezza o insicurezza. “L’umanità ha sempre barattato un po’ di felicità per un po’ di sicurezza” (Sigmund Freud). E così dunque che la nozione di felicità va smorzandosi nella nozione più tranquilla di “serenità” che tende all’ azzeramento della conflittualità e al rispetto della soggettività. Quella stessa serenità con la quale il Cristo, l’Uomo, il “Senza Peccato Originale” perché nato da una “Tutta Pura”, affronta il Suo martirio, la flagellazione e le spine che “baciano” la Sua carne che non conosce corruzione. La Sua salita al Golgota, la sopportazione dei chiodi infissi nel Suo Corpo, colpo, dopo colpo, dopo colpo, mentre la terra raccoglie e assorbe il Suo “Sang Rèal” (sangue reale). Ed ancora l’innalzamento del Suo Corpo sulla croce ed ancora chiodi, che trapassato la carne e le ossa dei piedi per fissarlo a quel legno che col Suo Sangue diverrà Santo. Tutto questo Egli affronta, tra il bello ed il dia-bello, tra felicità di chi lo condanna e l’infelicità dichi lo tradisce, tra la sicurezza della salvezza, o l’insicurezza della redenzione, con la coscienza del bene e del male la cui divisione (dia-bellein), porta alla scissione della personalità dell’individuo e dunque al male.

Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?

Siamo allo “zero” in appena trentatré anni, un tempo appena più lungo di una generazione, un tempo in cui discende tra gli uomini il “Bello”, che mette distanza, che separa (bello in latino significa guerra), colui che scorge nell’Apostolo Bartolomeo (Natanaele del Vangelo), “un uomo in cui non c’è falsità!”. Che l’albero di fico sotto il quale sedeva l’Apostolo sia il simbolo del peccato o l’albero degli eruditi poco importa, Gesù, il Figlio di Dio fatto carne, riconosce e divide. Separa la Sua provenienza (“Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” Gv 1,43-51) dalla Sua natura, rivelando forse, la prima delle tante altre visioni: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’Uomo”. Nella passione c’è anche questo. C’è una sacralità ormai edulcorata che invece dovrebbe imporsi nei pensieri di ogni cristiano, scrivente incluso. Sacro infatti, è una parola indoeuropea che significa separato, separare e dividere sono sinonimi con i quali il Cristo ci insegna che sulla Croce Egli separa la Sua volontà da quella del Padre, separa la Sua carne dall’essere Figlio di Dio, sentendo fisicamente e meccanicamente i colpi del martello e la lancia che ne trafigge il costato. Quando qualcuno ai piedi della croce gli grida: “Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce”, Gesù separa la volontà suprema del Padre che è nei cieli, ai dolori della carne terrena.

La volontà

Tutto e anche questo è LA CROCE, un linguaggio corporale, fisico, materiale, separato da quello verbale, fatto di racconti e parabole. Un messaggio col quale Il Padre che è nei cieli, attraverso la corporalità del Figlio, materializza il male, il peccato, lasciando tutti noi in quel luogo, in quello spazio separato, la cui salvezza si compie con la risurrezione del Cristo.

Riflessioni. 

(nella foto dal web: “La Nascita e La Morte” La vergine con il bambino,William-Adolphe Bouguereau. Pietà,William-Adolphe Bouguereau.)

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