Senza regali, Natale non sarebbe Natale?
Oggi navigando su internet ho trovato un negozio che per pubblicizzare la sua attività titolava “senza regali, Natale non sarebbe Natale”. Pubblicità azzeccatissima, perché mi sono fermata, non per i suoi prodotti, quelli non li ricordo nemmeno, ma per leggere i commenti sotto, per vedere se tutti fossero d’accordo con questa affermazione o se qualcuno avesse dissentito: grazie a Dio sì, qualcuno si è sentito in dovere di precisare che il Natale non è questo. Il negoziante, a chi protestava per la frase poco azzeccata, ha prontamente risposto che non era suo intento sminuire il valore del Natale, ma cercava solo di fare una frase scherzosa.
Allora mi sono messa a ragionare, a pensare se è questo il messaggio che oggi noi adulti, anche inconsciamente, passiamo ai nostri figli.
Poche settimane fa ci siamo scandalizzati, chi più chi meno, dalle “Guidelines for Inclusive Communication” della Commissione Europea, quel dossier europeo che a grandi linee suggeriva, con l’intento di promuovere un linguaggio più inclusivo per i cittadini di ogni religione, di non utilizzare termini come Natale, ma il più generico termine di “festività”, di evitare insomma di “dare per scontato che tutti siamo cristiani”. Vero, verissimo, non tutti siamo cristiani, conosco splendide persone con cui condivido momenti meravigliosi che non sono cristiane, ma abbiamo in comune una cosa importante: l’enorme senso del rispetto della nostra diversità. Ho sempre ritenuto che le parole siano importanti, bisogna saperle scegliere e dosarle, ma non mi sognerei mai di andare dal fruttivendolo e chiedere della generica “frutta” per il timore che, se chiedessi delle mele, i produttori degli ananas potrebbero sentirsi discriminati. Scoppia la bufera, politici che urlano alla lesione dell’identità nazionale, delle radici storiche del nostro paese, e la Commissione Europea prontamente ritira le linee guida definendole ancora “non mature”.
Tutto tace, tutto torna come prima. Ma in tutto questo caos, un sacerdote molto illuminato, un sacerdote che sa, come ci insegna San Giovanni Bosco, “che la gioia è la più bella creatura uscita dalle mani di Dio dopo l’amore”, che sparge l’allegria sui fedeli con vignette, ne pubblica una in cui un angioletto, vedendo Gesù pensieroso, li chiede se fosse preoccupato per le norme della commissione europea, ma Gesù risponde “non penso possano fare più danni del consumismo dei cristiani”. E lì mi sono messa a pensare che forse, tutto il contorno che ruota intorno alla festività di Nostro Signore ci stia prendendo troppo la mano. Stiamo dimenticando l’essenziale, quell’essenziale che “il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, ci dice che “è invisibile agli occhi”. Rischiamo, come ci ricorda Gesù, che si compia in noi la profezia di Isaia “Ascolterete, ma non comprenderete; guarderete ma non vedrete. S’è indurito infatti il cuore di questo popolo (Mt 13, 13–15).
Gesù però, ci insegna come fare a vedere, ci dice che non bastano gli occhi ma che dobbiamo aggiungere il cuore, ci esorta a non limitarci ad usare le orecchie per sentire, ma di ascoltare prestando attenzione e ci insegna la via con il suo esempio: non limitiamoci ad incrociare le persone, ma fermiamoci, diamo attenzione, chiediamo di cosa hanno bisogno, mettiamoci al loro servizio; non limitiamoci a dire “che peccato” ma facciamoci prendere da compassione.
Abbiamo la tendenza a pensare che per trascorrere un buon Natale sia necessario avere una tavola ben imbandita e piena di cibi costosi, l’albero ricco di luci e ricolmo di tanti regali. Ma è davvero così? È davvero necessario affannarsi alla ricerca di tanti regali quando molto probabilmente il vero dono che gli altri aspettano da noi è solo la nostra presenza? I nostri figli gradiranno sicuramente di più un’ora di gioco in nostra compagnia, che un gioco costoso; lo stesso vale per i nostri genitori e amici a cui probabilmente, basterebbe una telefonata in più, una visita in più.
Allora sì, sarà Natale. Sarà Natale, come dice Madre Teresa di Calcutta, ogni volta che permettiamo al Signore di rinascere per donarlo agli altri.